I mille volti della Nigeria

I racconti di Blessing ispirati dalla visita alla Gipsoteca di Arte Antica

Premessa

Questo testo è la trascrizione dell’intervista a Blessing Omosigho condotta durante l’incontro del giorno 19 giugno 2020. L’intervista è stata realizzata a seguito della visita di Blessing a 4 musei del Sistema Museale di Ateneo di Pisa, coinvolti nel progetto “So Distant. Incredibly Close”: ovvero la Gipsoteca di Arte Antica, Il Museo degli Strumenti per il Calcolo, Il Museo di Storia Naturale e il Museo e Orto Botanico.

Oltre a Blessing, hanno partecipato all’intervista: Alice Milani (fumettista), Adriana De Cesare e Marzia Cerrai (Fondazione Sistema Toscana).

L’incontro è stato condotto e facilitato da Paola Bolelli (Associazione no profit ORISS).

Alcune parti dell’intervista potrebbero essere state rimosse dalla redattrice nel rispetto della privacy delle persone coinvolte.

Paola: La scuola è andata avanti?
Blessing: Sì sì.

P.: Quindi ora a che punto sei?
B.: Ho finito il biennio, ho fatto l'esame, al CPO a Pontedera, le superiori, al serale.

P.: E che diploma prendi? Ragioneria?
B.: No, il biennio fa solo le materie comuni, poi vorrei fare l'indirizzo di OSS, a settembre.

Adriana: Abbiamo chiesto di rivederti perché vorremmo riportare alla memoria tutte le visite (ndr.: ai musei) che abbiamo fatto, prima che passi troppo tempo. Tu hai bisogno di rinfrescare la memoria? Cosa ti ricordi?
P.: Il museo dei computer te lo ricordi? Io mi ricordo quel calcolatore che era grande quanto una stanza...
B.: Io mi ricordo quello che ho provato anch'io, con la manovella.

P.: Poi c'erano i telefoni di una volta... roba che loro no ci credevano che noi usavamo quei telefoni lì, con la rotella.
B.: Io non li ho mai usati, ma sì sì sì l'ho provato.

P.: Ma in Nigeria ci sono le cabine del telefono per strada? I telefoni pubblici come c'erano in Italia anni fa?
B.: Sì, ma non sono per strada. È proprio un negozio, come la posta: vai lì, si paga e poi telefoni.

P.: In Italia erano proprio per strada, tu ci mettevi un soldo e telefonavi.
Adriana: Perché tu sei giovane, Paola, ma prima prima erano solo in dei luoghi specifici che erano adibiti a telefono pubblico, come nei bar. Dopo sono venute le cabine. Io abitavo in un paesino del sud d'Italia, piccolissimo. Non c'erano i telefoni nelle case. Mio padre era andato a lavorare in Sicilia, e una volta a settimana ci davamo appuntamento a una certa ora noi nel bar del nostro paese, e lui nel bar del suo paesino in Sicilia.

P.: Poi c'erano di diversi formati: una cabina chiusa, con dentro un telefono, oppure un telefono da solo senza cabina. E ce ne sono ancora per Pisa.
B.: Ma non funziona?

P.: No, perché prima ci voleva un gettone, poi una scheda, che non fanno più. Però per toglierle fanno una richiesta nel quartiere e qualcuno si può rifiutare.
Alice: Si potevano mandare anche gli sms, costavano 200 lire.
Adriana: Poi i fatti tuoi li sentivano tutti, perché parlavi in mezzo alla strada, nei bar, figurati. Poi c'era la coda, c'era quello che ti bussava se ci stavi troppo, era buffo, veramente.

Adriana: E invece il museo che ti ricordi di più qual è?
B.: Il secondo in cui siamo andati mi è piaciuto di più (ndr.: la Gipsoteca di arte antica).

P.: La Gipsoteca, dove hai raccontato la storia di Romolo e Remo, incantando anche la guida!

Adriana: Cosa ti ricordi? Eri stata molto attenta... Blessing è anche un'attrice, le piace molto recitare, quindi nei personaggi, nelle storie, nelle leggende si ritrova.
B.: Mi ricordo Apollo, il Dio della musica.
A.: La guida aveva detto che era cattivo. Ti è rimasto impresso per questo? O perché era bello?

P.: Ma per esempio, questa cosa che abbiamo noi, di fare le statue che raffigurano gli dei, c'è in Nigeria? C'è questa usanza?
B.: Sì sì, c'è, ci sono.

P.: Ma con i volti umani?
B.: Sì sì. Nella mia città c'è.... perché tanto tempo fa c'era una regina che andava in guerra con i maschi. E dopo la sua morte le hanno fatto la statua per onore. Perché ha fatto grandi cose per Benin City (ndr.: città della Nigeria), in quel momento.Quindi si va lì, come segno di rispetto per quella donna e per le cose che ha fatto. Si chiamava Queen Idia.

P.: Idia è un nome che si usa?
B.: Sì, sì.

Adriana: Ho trovato un'immagine della testa... è lei?
B.: Sì, sì.

A.: È la Oba, è vissuta nel 1500.
Marzia: Che bella, ti somiglia!

Alice: E lei cosa ha fatto?
Adriana: Leggo qui su Wikipedia, poi magari ci racconti tu, Blessing, era la madre di Oba Esigie.
B.: Sì, sì.

Adriana: Che era la Oba di Benin, che regnò dal 1504 al 1550. E lei aveva giocato un ruolo molto significativo nella crescita e nel regno di suo figlio.
Viene descritta come una grande guerriera che ha combattuto senza sosta prima e durante il regno di suo figlio come la Oba del popolo Edo.

B.: Sì, sì.

Adriana: E insomma fu importante nell'assicurare il ruolo di re al figlio dopo la morte del marito Oba Ozoloa, dicci tu come si pronuncia...
Si mise alla guida dell'esercito per combattere il fratello Aruaran, che fu sconfitto. Esigie diventò il 17esimo Oba del Benin. Oba vuol dire re.

B.: Sì sì

Adriana: E infatti lui, poi, in onore di sua madre istituì il titolo di Oba, cioè regina madre.
B.: Sì sì.

P.: Qual è la tua città Blessing?
B.: Benin City.

Adriana: È una regione molto grande, mi sa che c'è anche stata una guerra per l'indipendenza del Benin, forse negli anni '70, di recente.
B.: Non lo so.

P.: Perché la storia della Nigeria è molto complicata, vero?
B.: Sì, come quella dell'Italia.

Adriana: Anche il Biafra, è una regione della Nigeria in cui c'è stata la guerra.
P.: Ma tu, Blessing di che etnia sei?
B.: Boh, non lo so.

P.: Ma quante lingue parli?
B.: Inglese, italiano, bini (ndr.: lingua edo).

P.: Il Bambara non lo parli?
B.: No, non è la lingua della Nigeria.

P.: Però ci sono dei nigeriani che la parlano.
B.: No no.

Adriana: E qual è la lingua della Nigeria?
B.: Il pidgin (ndr.: non è in realtà una lingua, sta a indicare una mescolanza di lingue).

Alice: Ah, aspetta, del pidgin ne ho sentito parlare: è una specie di lingua mescolata con l'inglese, un inglese modificato...
B.: Sì sì, è inglese più o meno.

Adriana: E la lingua proprio originale della Nigeria qual è?
B.: Dipende. Tutti capiscono e parlano pidgin. Le persone che hanno studiato capiscono e parlano inglese benissimo, quelli che non hanno studiato parlano pidgin. Ma ci sono persone che non capiscono né inglese né pidgin.

P.: E quante sono le lingue in Nigeria? Le etnie...
B.: Non so. Ma sono tante...Gli Yoruba stanno nell'ovest, e parlano tante lingue.

P.: Ah, gli Yoruba parlano lingue diverse?

Adriana: Comunque ci sono 36 stati, in Nigeria
B.: 36 stati però tantissime lingue, più di 200 lingue

Adriana: Qui (ndr.: si riferisce alla ricerca online) mi sto sbizzarrendo: nel nord ci sono gli Hausa-Fulani, Yoruba nel sud-ovest, invece gli Igbo nel sud-est, poi nel delta del Niger ci sono Ijaw, Urhobo e Ogoni, poi nel nord Nupe, Tiv e Kanuri, pensa te!
B.: Sì sì

Alice: E tu parli?
B.: Bini. Anche in Edo State abbiamo 18 local governement e questi local government hanno diverse di lingue. Quindi in Edo State abbiamo più di 18 lingue.

Alice: E quindi se uno si sposta all'interno della Nigeria come fa, deve per forza parlare inglese?
B.: Sì, o pidgin.

P.: Che viene dal colonialismo.
Adriana: E insomma quindi la Gipsoteca perché c'era Apollo, bello e cattivo. E in Nigeria ci sono degli dei dedicati alle arti? Perché tu ci hai parlato di un personaggio storico, che però è diventato quasi una divinità, cioè voi le rendete omaggio come se fosse divina, a questa Idia...
B.: Sì sì

Adriana: E ci sono altri dei più generali? Più astratti
B.: … (ndr.: non risponde)

P.: Gli Yoruba hanno tutti questi Orisha (ndr.: semidivinità), quelli che poi sono andati anche in Sud America, no? In Brasile...
B.: Mmmh, sì

P.: Sono gli unici che noi conosciamo qui in Europa. Almeno sappiamo che esistono, gli Orisha. Altri non sappiamo nemmeno che esistono. Credo, immagino che ogni gruppo abbia i suoi.
B.: Sì

P.: E qual è la religione più diffusa in Nigeria?
B.: Mmmh...

Alice: Per ogni lingua ci sono 6 religioni
B.: (ndr.: ride)

P.: Tu sei musulmana?
B.: No, io sono cristiana.

P.: Tutta la tua famiglia?
B.: Sì. La religione principale è.... dipende. Nel nord nella regione dei nud (ndr.: termine sconosciuto), loro sono al 99% musulmani. I nud in Nigeria occupano 8 stati, mi sembra.

Adriana: Nupe?
B.: Nud O Hausa.

Adriana: Ah, gli Ausa che dicevi prima...Hausa-Fulani.
P.: In francese li chiamano Poel. Sono i coltivatori.

B.: Loro sono musulmani, loro sono tantissimi. Ma i cristiani, anche.

Adriana: Gli Igbo invece sono cristiani.
M.: Ed è possibile per un Igbo scegliere di essere musulmano?
B.: Sì, è possibile. Alcune persone in Edo State sono musulmane, quelle che vengono da Auschis (ndr.: termine sconosciuto), loro sono musulmani, come i nud. Ma trovare una persona che viene da Benin City che sia musulmano, è difficile.

Adriana: Certo che è complicato, a me sembrano tante 20 regioni in Italia... e se tu potessi portare qualcosa dall'Italia in Nigeria, cosa porteresti? Ti ricordi la guida parlava di alcune statue che erano state rubate da Alessandro Magno, da Atene... tu cosa vorresti “rubare”?
B.: ... Mi sembra.... niente

Adriana: E il contrario invece? Qualcosa che qui manca, che c'è invece da te in Nigeria?
B.: Niente. Anzi, i cibi.

Adriana: Che cibo? Racconta, scambiamoci le ricette.
B.: Una verdura particolare, si chiama wota leaves. Water leaves

Adriana: Verdure di che tipo? Tipo insalata? Si cuociono?
B.: Sì

Adriana: Tipo spinaci o bietole?
B.: Tipo spinaci.

P.: Amare o dolci?
B.: Dolci.

P.: E cosa ci fate?
Adriana: Come si scrive?
B.: Water leaves (ndr.: scrive sul tablet)

Adriana: Ah, è questa?
B.: Sì.

Alice: Si soffrigge?
B.: Si cucina con pomodoro e... prima le metti nell'acqua calda, e dopo due minuti metti l'olio di palma nella pentola e dopo che hai messo cipolla, pomodoro, peperoncino, pesce, tutto, aggiungi questa verdura e dopo hai finito. Si può usare per mangiare yam (ndr.: tubero) o riso.

Adriana: Cos'è yam?
B.: Non conosci yam?? È buonissimo!

P.: Sono quelle patate dolci, lunghe...
Alice: E qui si vede che Paola è donna di mondo, noi no.
P.: Li vendono anche qui, vicino alla stazione.
M.: Come le cucini?
B.: È facile, come le patate, le peli, le metti nella pentola con l'acqua, metti il sale... io cucino con lo zucchero. Mi piace.

P.: E poi le puoi mettere nel sugo, le usi al posto del riso...

Adriana: Qui mi dice che c'è un'altra pianta che si chiama celosia, la conosci?
Qui dice che assieme a water leaves è uno dei più importanti ortaggi da foglia della Nigeria.

B.: Non l'ho mai mangiata.

Adriana: Sarà in uno degli altri 35 stati.
Alice: O magari ha 35 nomi diversi per ogni stato. Un po' come i cenci, i dolci di carnevale, in ogni regione si chiamano in un modo diverso. Le chiacchiere, le frappe...o come la coppa, la soppressata, che in Calabria e in Toscana sono due cose diverse...
M.: O come in Sardegna, che il salame si chiama salsiccia
P.: Sì, è vero, Blessing, ci sono anche in Italia delle lingue regionali incomprensibili
B.: Come in Sicilia?

P.: Non solo in Sicilia.
M.: Come gli attrezzi da cucina: in Toscana abbiamo il ramaiolo, da altre parti si chiama mestolo, o sgommarello...
P.: In Abruzzo ad esempio ci sono paesini che tra di loro, anche a pochi chilometri di distanza non si capiscono...
M.: Io mi ricordo quando ero piccola andavo in Abruzzo e una vicina di casa della mia nonna mi parlava, mi parlava, mi parlava, e io non capivo nulla!
Adriana: Come mio figlio con suo nonno. Mio marito è di Massa, e quindi il nonno parla con mio figlio in massese stretto. Gli fa dei lunghi discorsi molto sentiti in cui gli affida la sua eredità spirituale, in massese stretto.
B.: Non lo sapevo, pensavo che solo i siciliani parlano diverso.

M.: Perché i napoletani? I veneti?
P.: L'unica cosa è che il siciliano è una lingua, gli altri sono dialetti
M.: Anche il sardo
Alice: Anche il piemontese.
P.: Sono proprio riconosciute come lingue
M.: Non lo sapevo...
P.: Infatti ci sono anche i dizionari
M.: C'è anche il dizionario di livornese, il Borsacchini. Questo dice che è un altro ortaggio, gli spinaci di Lagos, però sono rossi, non verdi.
B.: È buonissimo anche quello.

M.: Come si cucina? Come gli spinaci?
B.: Sì, sì.

M.: Qui trovi delle cose per cucinare? In negozi particolari?
B.: Anche dietro a casa puoi piantare alcune verdure.

P.: E le hai piantate?
B.: Sì! Quando vivevo con mia nonna, in Nigeria, accanto a casa nostra....avevamo un giardino piccolo e abbiamo piantato tante cose, verdure, yam. Cocoyam, un'altra varietà di yam.

P.: E cosa si beve in Nigeria?
B.: Come qui.

P.: Il vino?
B.: Sì

P.: C'è il vino in Nigeria?
B.: Sì

P.: C'è il vino nigeriano, fatto con l'uva? C'è l'uva in Nigeria?
B.: No, non ce l'abbiamo vino in Nigeria. No.

P.: Te?
B.: Sì.

P.: Però principalmente cosa si beve?
B.: Birra.

Adriana: E viene prodotta in Nigeria?
B.: Sì.

Adriana: E da cosa?
B.: Non lo so.

Adriana: Non credo dal luppolo. Il luppolo vuole climi freddi e piovosi.
P.: Però la bevanda principale è la birra?
B.: Palmwine. Vino di palma.

P.: Che si incide, dal tronco della palma... è un lavoro molto faticoso.
B.: È buonissimo, fresco, naturale...

P.: Ubriaca eh?
B.: Sì, sì.

M.: Che gradazione ha?
P.: È più forte del nostro vino. Io non l'ho mai bevuto, l'ho letto in un romanzo. È molto fermentato.
Alice: Ma è direttamente nella pianta che è alcolico o viene fatto fermentare?
P.: Viene fatto fermentare.
Alice: Ma non si poteva bere direttamente appena raccolto?

P.: Non penso che sia lo stesso di cui parlava Abdoulie (ndr.: si tratta di un altro ragazzo che ha partecipato al progetto “So Distant. Incredibly Close”).

Adriana: Sono col sorgo... luppolo malto d'orzo acqua e sorgo...(ndr.: leggendo da wikipedia)

P.: Come si chiama la birra nigeriana?
A.: Ce ne sono tante
B.: (ndr.: elenca vari nomi di birra)

P.: In Senegal c'è una birra che è molto famosa, c'ha un'etichetta bellissima, ma non mi ricordo il nome.

Adriana: Birra senegalese, sto cercando.

M.: Nei libri di Chimamanda Ngozi Adichie (ndr.: famosa scrittrice nigeriana) racconta che si ubriacano col vino di palma e fanno delle gran chiacchierate.

Adriana: Lei racconta di quando si incontrano, dei cibi e delle cose che preparano. Lei racconta diversi tipi di Nigeria: la Nigeria della media borghesia, di professori universitari, scrittori, intellettuali, e la Nigeria delle campagne, rurale. E in mezzo c'è la Nigeria della persona che gli fa da persona di servizio, autista, cameriere, che era un po' la Nigeria di chi dalla campagna si era spostato in città, ma conservava le sue tradizioni. Parlavano di questo riso fritto...

Alice: Il platano fritto usa da voi? Io non la mangio da tanto tempo. In Belgio c'era un ristorante che la faceva ma qui non c'è.
M.: La puoi fare tu...
Alice: Sì, ma non ho voglia di friggere, è più buono se la frigge qualcun altro.

P.: Ma tu Blessing hai fatto l'università? No, sennò non dovevi fare il serale...
B.: Sì, l'ho fatta.

Alice: Che facoltà?
B.: Insegnamento

P.: E non te lo hanno convalidato...
B.: Non avevo preso i certificati. Ma mi piace cominciare dalla base, sì mi piace molto. Le mie operatrici mi hanno detto tante volte Blessing prendi... e io no! Mi piace molto.

Adriana: E qui da dove hai iniziato?
B.: Dalle medie.

P.: Perché tu sei qui da quanti anni?
B.: Da due anni e otto mesi.

Adriana: Allora sei stata brava, hai già fatto 5 anni in metà tempo.
P.: Però non sei arrivata subito a Pisa
B.: Ero a Pistoia

M.: Ma teatro lo fate ancora? (ndr.: si riferisce a un corso di teatro organizzato da Paola a cui ha partecipato come allieva anche Blessing)
P.: No.
M.: Per via del COVID?
P.: No, già da prima era singhiozzante...
Adriana: Peccato perché ti piaceva recitare, vero? (ndr.: la domanda è rivolta a Blessing) Paola diceva che eri brava.
P.: Se le piace non lo so, però è brava!

P.: Mi domandavo, ma come funzionano le scuole in Nigeria? Si parte da piccoli? Sono obbligatorie?
B.: Sì

P.: Tutte?
B.: No. Si parte da 5 anni, la scuola primaria dura 6 anni. I primi anni sono obbligatori. Le secondarie no.

M.: Sono molte le persone che non finiscono?
B.: Sì.

P.: È difficile andare a scuola in Nigeria?
B.: Dipende

P.: Da cosa?
B.: Mmh... in che modo mi chiedi se è difficile?

P.: Per esempio perché magari costano tanto i libri o se le scuole sono lontane ed è difficile raggiungerle...
B.: Sì. Ci sono le scuole pubbliche, quindi alcune persone che abitano nel villaggio e vanno a scuola pubblica.

P.: Le scuole pubbliche sono dentro ai villaggi?
B.: Sì

P.: Dentro a ogni villaggio?
B.: Non è proprio così. Ci sono villaggi che non hanno scuola. Uno che vuole andare a scuola ci va con bicicletta o a piedi.

M.: Il fratello di mia nonna era nato negli anni ‘10 del ‘900, abitavano a Vecchiano. Lui voleva fare le superiori, ma non è che c'erano le macchine o cose così. Lui ogni mattina andava in bicicletta, pioggia neve sole...
B.: Anch'io facevo così.

P.: Era lontana la tua scuola?
B.: Abitavo con mia nonna e non è che avevamo tanti soldi per pagare l'autobus ogni mattina, quindi camminavo, 30 minuti.

P.: Lo facevi da sola o con altri compagni?
B.: No, non da sola.

P.: Ah, e allora... ti divertivi anche! Mezz'ora non è tanto
B.: È tanto! Ero piccola! è lontano!

Alice: E la strada com'era, trafficata o tranquilla?
B.: No, abbiamo strade che si chiamano old road, strade vecchie. Le macchine non ci passano così come autostrada...

P.: Ma quando passano danno i passaggi? Perché in Senegal se vai in giro in macchina quasi sempre carichi qualcuno per dare un passaggio.
B.: Sì, sì è vero, ma non sempre.

Alice: Il car sharing...
P.: E andavi a scuola dalla mattina alla sera o solo mezza giornata?
B.: Dalle otto all'una e mezza

P.: E poi tornavi da tua nonna, che si chiama?
B.: Edoaie. È morta...

M.: E poi dovevi fare i compiti?
B.: Sì.

P.: E poi dopo quando hai finito le prime scuole hai deciso di continuare?
B.: Sì.

P.: Che età avevi?
B.: 18

P.: Ah, le prime scuole durano così tanto?
B.: Avevo 18 anni.

M.: Quando hai deciso di iniziare l'università?
B.: Sì.

M.: Quindi hai fatto le nostre elementari, le medie e le superiori, giusto?
Adriana: Ma ora quanti anni hai?
B.: 25

Adriana: Che giovane!
P.: E il villaggio dove vivevi con la tua nonna era grande?
B.: Non è un villaggio. È una città. Non è che vivo in un villaggio, era un esempio, che dicevo.

P.: Ma allora la scuola era dentro alla stessa città?
B.: Sì, sì.

P.: E in tutti questi anni di scuola hai avuto un solo maestro o diversi?
B.: All'inizio nella scuola elementare solo una maestra, poi in quarta quinta e sesta ci sono due o tre maestre.

M.: Sono bravi?
B.: Sì.

M.: Ti manca?
B.: No, per niente.

P.: Sei contenta di essere qui?
B.: Sì

P.: Gli insegnanti qui, sono bravi?
B.: Oddio, sì! Il mio cuore. Sono tutti bravi!

P.: E tu vuoi diventare un'insegnante?
B.: No!

P.: Cosa vuoi fare “da grande”?
B.: Quando sarò grande voglio diventare infermiera.

Alice: è un lavoro durissimo, mi sa. Ci vuole un sacco di passione.
M.: Mio padre era un infermiere. In effetti amava molto il suo lavoro, ne parlava tanto.
P.: Quindi per il prossimo virus ci sarai tu come infermiera
B.: Dai!! Io ho paura!

P.: Ma in Nigeria com'è la situazione?
B.: Escono, fanno, quello che facevano prima....

P.: Non hanno paura?
B.: Siamo africani non abbiamo paura.

P.: Ma tu hai paura?
B.: Sì, io sì! Io vedo la tv in Italia, sono tutti morti!

P.: Ma no, dai!
Adriana: Ma che televisione guardi?
B.: Morti 3000, nuovi casi 10000, guariti 2, ma scusa!

Adriana: Sono morti tanti, ma sono morte 34000 persone, se pensi che negli Stati Uniti sono a 120.000, in Brasile, poi... ne stanno approfittando per sterminare gli indios...
M.: Bello questo libro… (ndr.: guardando un libro su arte africana)
P.: C'è qualcosa che conosci in quel libro, Blessing?
B.: No!

P.: Eh, perché vedi, le hanno portate via da lì e le hanno portate qui, quindi tu non le hai conosciute...
Alice: Ma tu Paola sei stata dappertutto in Africa?
P.: No, non sono stata in Nigeria.

B.: Perché? Hai paura?
P.: No, non ho paura. Perché, c'è da aver paura?
B.: Eh... non lo so perché. Alcuni dicono che siamo cattivi, che siamo dei criminali....

Adriana: Gli italiani sono famosi per aver esportato la mafia in tutto il mondo, quindi i nigeriani saranno sempre secondi.
P.: Veramente la Nigeria è più famosa per la magia nera.
M.: Siete un po' magici?
B.: Sì.

M.: Cosa vuol dire?
B.: Abbiamo juju (ndr.: complesso di riti che derivano dalla religione animista)

M.: Cioè? Cos'è?
Alice: Un altro tipo di patata dolce?
P.: Non se ne può parlare tanto tranquillamente.
M.: Ok, però su internet lo posso trovare?
Adriana: A tuo rischio e pericolo, io non l'ho cercato.
M.: Negli Stati Uniti gli italiani li considerano tutti mafiosi, però le stesse persone che mi hanno detto questo mi dicevano che siccome i nigeriani sono molto furbi non bisogna fidarsi, né degli italiani né dei nigeriani.
Adriana: Ma perché gli italiani, come i nigeriani, sono andati ovunque nel mondo.
B.: Gli italiani, ovunque?
A.: Sì, sì

B.: Chi è lui? (ndr.: indicando poster di Corto Maltese)
P.: Corto Maltese
B.: ?
P.: Non esiste veramente, è un fumetto. È un viaggiatore, molto libero.

P.: E invece il museo quello degli animali?
B.: Mmmh... i pesci! Mi è piaciuto, ho visto tanti pesci che non ho mai visto nella mia vita.

P.: E le balene?
B.: No!

P.: E degli animali che erano nel museo qualche animale che ti ha ricordato la Nigeria c'era? Ad esempio Abdoulie ci ha raccontato molte cose sui coccodrilli sacri... in Nigeria ci sono animali sacri?
B.: Sì, ci sono.

P.: Quali?
B.: Ci sono alcune città che non uccidono alcuni animali, perché li vedono come il loro dio.

P.: Però non sai che animali sono?
B.: No!

M.: In Italia anche noi abbiamo un sacco di credenze sugli animali, ad esempio se vedi che un gatto nero che attraversa la strada prima che tu passi, porta sfortuna. Quindi devi aspettare che passi qualcun altro, tu non puoi passare.

B.: Ma qualcun altro che passa allora...
M.: Ma non l'ha visto, quindi...
B.: Ma se l'ha visto?
M.: Tutti fermi! Oppure ci sono le coccinelle se ti vengono addosso portano fortuna.
P.: Il cane è l'animale delle streghe....
B.: Il gatto è delle streghe!
P.: No, il gatto è protettore...
B.: Ai nigeriani non piace il gatto, perché è delle streghe!
P.: E il gallo? E la gallina?
B.: La gallina è buonissima

P.: È il cane l'animale della strega, il gatto invece è indipendente
M.: Io mi ricordo le storie dei benandanti, che erano queste persone che di notte si muovevano per andare a fare gli incontri con il demonio, e le donne streghe cavalcavano dei muli.
Adriana: La zampa del coniglio è portafortuna...

Alice: Di chi sono questi capelli? (ndr.: indicando una parrucca)
B.: Miei.

Alice: Li portavi fuori e poi li hai tolti?
M.: C'è molto in Nigeria l'uso della parrucca?
B.: Sì, sì.

P.: In tutta l'Africa
B.: Mi piace stare così (ndr.: intende senza parrucca), però le mie amiche : “noooo Blessing, sei brutta!”

P.: Per tante donne i capelli sono un problema. Noi invece vediamo i capelli delle donne africane e ci sembrano bellissimi, loro invece non li vogliono così. Però ci sono delle donne africane che rivendicano la propria africanità e se li fanno crescere.
M.: I capelli raccontano tanto su una persona, su come vede la vita. In Italia la parrucca andava fino agli anni 60.
Alice: Ma uno la portava per avere dei capelli diversi o perché aveva perso i capelli?
M.: Per avere dei capelli diversi. A me sarebbe tanto piaciuto, io avrei tanto desiderato andare in giro con la parrucca.

P.: Fallo! Nessuno te lo impedisce. Hai mai provato a metterne una?
M.: Sì!
P.: Per noi che non ci siamo abituati è strano, io le uso per il teatro.
M.: È che mi sembra che tutti mi guardino...

P.: Ma comunque, Blessing, ti sono piaciuti i musei?
B.: Sì, molto

M.: Ne hai parlato con i tuoi amici?
B.: Io abito con persone che non sanno l'importanza di questa cosa quindi no, niente. Solo alle mie operatrici.

P.: Qui c'è un museo per tutto. Cos'è una cosa che ti piace?
M.: In Piemonte ci sarà sicuramente, lì è zona di benandanti. Ho un'amica che ha fatto una tesi di laurea sulle streghe.
Adriana: (ndr.: consultando wikipedia) In provincia di Imperia c'è il museo etnografico della stregoneria. Ah, aspetta, a Torino il primo museo della stregoneria contemporanea. È un po' lontano, ma ti ci possiamo portare… A Pontedera poi c'è il museo della Piaggio, è dietro la stazione. Ci sono un sacco di vespe...
P.: Poi c'è il museo della follia
B.: Cosa è?

P.: La pazzia. È una mostra itinerante. La pazzia è quando una persona non è più padrona di sé e fa mille cose strane. Da noi in occidente una persona che fa cose strane è considerata pazza.
B.: Museo dei pazzi?

P.: Museo della pazzia, dove ci sono tutte le cose che hanno scritto, disegnato i pazzi.

Adriana: A Volterra c'è un museo bellissimo. C'era un manicomio criminale, chiuso, c'è un bellissimo museo dedicato alle persone che sono state lì. C'è una persona che è stata lì tanti anni ha inciso delle cose sui muri e lì le hanno conservate.
Adriana: C'è un museo a Pieve Santo Stefano, in provincia di Arezzo, il museo dei diari.
P.: Sai cos'è un diario?
B.: Sì, sì.

Adriana: C'è il diario di una contadina che aveva perso il marito e non aveva figli e lei diceva: se io muoio nessuno saprà cosa ho vissuto, e allora si è messa a scrivere, ma non aveva carta, allora ha scritto il suo diario su un lenzuolo...
B.: Mamma mia!

Adriana: Sono tutti diari di persone comuni, in tutte le forme, antichi, moderni, è uno spaccato di piccola storia, è una bellissima idea. Fanno anche un concorso, raccolgono storie di migranti, di persone che sono arrivate in Italia o che sono partite dall'Italia.
Alice: E tu hai mai tenuto un diario?
B.: No!

Adriana: È tutto qui (ndr.: in testa)
B.: Sì!

Adriana: Allora lo potresti scrivere
B.: Oh, sì…
Alice: E io lo potrei disegnare, se mi dai precise istruzioni.

Idia, la regina madre

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